News
6 24 20 26 10 25 28 8 21 2 29 11 16 18 9 23 7 5 14 4 1 13 12 3 17 27 19 22 15

Nel 2005, i ricercatori del Progetto EthoCebus sono stati testimoni di un eccezionale caso d’adozione. Fortunata, un piccolo di uistitì (scimmia sudamericana grande quanto un palmo di mano), è stata adottata da un gruppo di cebi dai cornetti che l’ha allevata per circa un anno, garantendole così la sopravvivenza.

La prima volta che è stato avvistato, aggrappato al pelo di mamma Chiquinha, sembrava un cebo a tutti gli effetti. D’altra parte siamo nel Piauì, una zona arida e montagnosa nel nord-est del Brasile dove vive una comunità di cebi dai cornetti (Cebus libidinosus) diventati famosi perché abilissimi nell’usare sassi e incudini per schiacciare il guscio delle noci di cui si nutrono. Ed è proprio per questo che i ricercatori del progetto EthoCebus sono qui: per studiare tutti gli aspetti di questo straordinario comportamento, sino a oggi documentato in natura solo negli scimpanzè. Ma col passare dei giorni, guardandolo con più attenzione, i ricercatori si sono resi conto che non si trattava di un cebo, ma di un uistitì (Callithrix jacchus), un’altra specie di scimmia sudamericana che da adulta è grande quanto un palmo di mano. Cosa è successo?

Un gruppo di tredici cebi ha adottato un uistitì di circa due mesi – spiega Elisabetta Visalberghi dell’Istc-CNR, partner del progetto EthoCebus – che è rimasto con loro per più di un anno, ricevendo così le cure parentali necessarie alla sua sopravvivenza”. Il primo caso di adozione fra scimmie di generi diversi mai osservato in natura, che per la sua eccezionalità si è guadagnato le pagine dell’American Journal of Primatology. “L’uistitì era una femmina e l’abbiamo chiamata Fortunata. Inizialmente è stata adottata prima da una femmina adulta e poi, dopo quattro mesi, da un’altra – racconta la Visalberghi – le due femmine, ma talvolta anche altri membri del gruppo, hanno trasportato Fortunata sulla schiena, sul collo o sulla pancia, proprio come avrebbero fatto con un loro figlio, permettendole così di spostarsi insieme al gruppo anche quando i percorsi sarebbero stati estremi persino per un uistitì adulto”. Bisogna ricordare, infatti, che questa specie è circa 10 volte più piccola di un cebo, uno svantaggio per certi aspetti (quante volte, mentre aspettava di rubare un pezzettino di noce, il piccolo uistitì ha rischiato di essere involontariamente colpito con un sasso), una gran fortuna sotto altri, perché le piccole dimensioni hanno facilitato il suo trasporto e ridotto la competizione alimentare.

Nel gruppo c’era anche un piccolo cebo che aveva la stessa età di Fortunata, permettendoci di paragonare le cure parentali rivolte ai due piccoli e il loro sviluppo comportamentale. Dai dati raccolti, è venuto fuori che le attenzioni riservate ai due cuccioli erano simili nonostante le differenze in dimensioni, ecologia, comportamento, organizzazione sociale e sviluppo delle due scimmie. La dimostrazione che entrambe le specie sono estremamente flessibili, essendosi adattate l’una alle esigenze dell’altra. Dalle nostre osservazioni risulta che Fortunata ha allungato di molto il periodo di dipendenza dalla madre, che in un gruppo di uistitì sarebbe stato di pochi mesi, e che i cebi hanno risposto con estrema tolleranza alla sua presenza, togliendola di impaccio ogniqualvolta rimaneva indietro rispetto al resto del gruppo, o era incapace ad arrampicarsi sulle rocce”. Nei cebi la plasticità comportamentale è arrivata al punto di far loro adottare una scimmia che, in altre occasioni, arrivano anche a cacciare. Un comportamento altruistico che non è facile spiegare in termini strettamente evolutivi perché, non essendo il piccolo adottato imparentato, non sembra avere un vantaggio per chi lo fa. “Adottare un piccolo di un’altra specie può sembrare assurdo! Ma è anche vero che il comportamento materno si basa su attitudini come la tolleranza e l’attrazione verso i piccoli che non è possibile limitare solo ai piccoli della propria specie – conclude la Visalberghi – casi di adozione fra specie diverse accadono talvolta anche in natura: basta pensare ai bambini adottati dai lupi. Ma ciò che qui stupisce è la competenza che hanno mostrato i cebi nell’adattarsi alle esigenze del piccolo uistitì”.

 

Izar, P., Verderane, P., Visalberghi, E., Ottoni, E., Oliveira, M.G., Shirley, J. & Fragaszy, D. (2006). Cross-genus adoption of a marmoset (Callithrix jacchus) by wild capuchin monkeys (Cebus libidinosus): Case report. American Journal of Primatology, 68, 692-700

Capuchins and media: Capuchin monkey - marmoset interaction

Unit of Cognitive Primatology - tutte le immagini del sito sono protette da copyright 
Unit of Cognitive Primatology: all images are copyrighted