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In occasione della mostra temporanea “La scimmia nuda” organizzata dal Museo Tridentino di Scienze Naturali, Elisabetta Visalberghi, ricercatrice dell’Istc-CNR, ha collaborato alla realizzazione del catalogo scrivendo un testo sulla cultura nei primati non umani.

Il concetto di cultura ha una lunga storia e le tante definizioni date hanno attribuito ai processi comunicativi, e in particolare al linguaggio, un ruolo centrale per lo sviluppo della cultura e la sua trasmissione. Tuttavia il concetto di cultura si è modificato a metà del secolo scorso, quando gli etologi hanno iniziato a documentare l’emergenza di comportamenti nuovi, frutto delle capacità di innovazione di uno dei membri del gruppo e la loro diffusione ad altri individui dello stesso gruppo. Così, con l’osservazione di comportamenti che si diffondevano di generazione in generazione e che diventavano caratteristici di un gruppo o di una popolazione (ma non di altri gruppi o popolazioni), si è iniziato a parlare di cultura e tradizioni animali, anche in assenza di linguaggio e di altre caratteristiche fino ad allora ritenute condicio sine qua non perché si potesse parlare di cultura.

La definizione che meglio si addice allo studio dell’evoluzione della cultura umana e delle tradizioni nei primati non umani è la seguente: un comportamento può essere definito tradizionale, o culturale, se risulta ampiamente diffuso fra i membri di una, o più popolazioni, ma è assente in altre popolazioni che vivono in aree ecologicamente simili; se la presenza in una popolazione e l’assenza in un’altra non può essere dovuta a differenze ecologiche fra le aree dove vivono le diverse popolazioni e/o a differenze genetiche fra popolazioni; se si mantiene nel tempo e viene trasmesso da una generazione all’altra per apprendimento sociale.

E’ ormai assodato che in natura esistono notevoli differenze comportamentali all’interno delle popolazioni di scimpanzé e di oranghi. Le ricerche a lungo termine condotte su diversi gruppi di scimpanzé, per un monte ore totale corrispondente a 151 anni (!!), mostrano un considerevole numero di comportamenti presenti in alcune popolazioni e assenti in altre. Ciò sembra essere avvenuto senza altre ragioni se non quella che i comportamenti in questione sono stati scoperti e poi trasmessi ad altri individui in una popolazione, mentre la stessa cosa non è accaduta in un’altra popolazione, nonostante le analoghe opportunità offerte dall’ambiente. Un esempio eclatante di quanto detto è fornito dagli scimpanzé dell’Africa occidentale che vivono ad est del fiume Sassandra (ad esempio a Bossou nella Guinea Equatoriale e nel Parco Nazionale di Taï, in Costa d’Avorio) e che utilizzano percussori per rompere il guscio di noci di varie specie. A tal fine usano pietre, o tronchi, sia come incudini sia come martelli; i rudimenti di questo comportamento si manifestano precocemente nei piccoli scimpanzé, ma occorrono anni e anni di esercizio perché arrivino a rompere autonomamente i primi frutti. Sebbene sia già verso i 4-5 anni che i giovani scimpanzé riescono ad aprire qualche noce, è solo intorno agli 8 anni che la loro tecnica si raffina in modo tale da comportare un’alta percentuale di successo. In altre comunità dell’Africa centrale, come a Budongo e Kibale in Uganda, o a Gombe in Tanzania, gli scimpanzé non aprono noci, sebbene queste siano disponibili e non manchino anche strumenti idonei per romperle. Perché non lo facciano resta un mistero, ma ciò che è chiaro è che le differenze osservate tra queste comunità non sono attribuibili a fattori ecologici, ma piuttosto a fattori culturali.

Non solo l’uso di strumenti, ma anche comportamenti comunicativi e sociali sembrano essere culturali. Ad esempio solo alcune comunità di scimpanzé usano fare pulizia reciproca della parte del braccio della regione ascellare tenendosi reciprocamente la mano con il braccio esteso verso l’alto. Ma gli scimpanzè non sono le sole scimmie antropomorfe a essere capaci di ciò. Comportamenti culturali sono presenti anche negli oranghi sia per quanto riguarda il processamento del cibo, l’uso di strumenti e una serie di comportamenti peculiari che sono presenti in alcune popolazioni e non in altre. Per esempio non tutte le popolazioni costruiscono il nido anche per gioco, oltre che per passarci la notte e soltanto alcune facendo il nido emettono una particolare vocalizzazione. Infine, solo la popolazione di Leuser Suaq Balimbing che vive nel Sud Ovest di Sumatra, fra le tante studiate, usa bastoncini per estrarre il seme dal frutto urticante della Neesia. Per gli oranghi è stato anche dimostrato che maggiore è la distanza geografica fra popolazioni maggiori sono le differenze culturali e che popolazioni in cui gli individui hanno più stretti contatti con maggiori opportunità di apprendimento sociale hanno un numero maggiore di comportamenti culturali nel loro repertorio.

Ma cosa dire delle scimmie? La storia certo più conosciuta è quella del comportamento di “lavaggio” delle patate da parte dei macachi giapponesi descritta dagli anni ’50 in poi dagli antropologi giapponesi. I dati che però esistono a riguardo mancano di sistematicità e dettaglio che permetta di verificare se si tratti di cultura, come l’abbiamo sopra definita. Più convincenti sono invece i dati recentemente raccolti su popolazioni selvatiche di Cebus capucinus che hanno differenti tradizioni di processamento di alcuni cibi e di cattura delle prede. Ma i resoconti sicuramente più stimolanti che potrebbero mostrare tradizioni nell’uso di strumenti nei cebi sono quelli relativi alle nuove scoperte nel Piauì, uno stato del Nord Est del Brasile. Qui i cebi usano sassi come incudini e martelli per rompere il guscio delle noci di cocco e mangiarne la polpa e per scavare e dissotterrare tuberi. Nonostante le tante ricerche condotte in natura sui cebi, mai era stato visto qualcosa di simile. Per provare però che si tratti di cultura occorrerà studiare la distribuzione geografica del fenomeno e stabilire se la presenza del comportamento può essere, o meno, attribuita a fattori ecologici e quali siano le modalità di trasmissione all’interno dei gruppi.

Come si impara una cultura? Il mantenimento e la diffusione di questi comportamenti avviene grazie alle influenze sociali. Tuttavia in natura è difficile stabilire chi è stato il primo ad imparare il nuovo comportamento e se gli individui hanno imparato il nuovo comportamento dopo averlo osservato fare agli altri. Di recente, presso lo Yerkes Primate Center di Atlanta (USA), è stato fatto un interessante esperimento per capire se gli scimpanzé imparino l’uno dall’altro un comportamento arbitrario e quanto sia fedele la sua trasmissione. Insomma, mutata mutandis, hanno fatto fare a questi animali il gioco del telefono senza fili, quello in cui si sussurrava l’uno nell’orecchio dell’altro una parola e dopo un certo numero di persone si verificasse quanto la povera parola fosse stata storpiata o fraintesa. Ad un individuo del gruppo A hanno insegnato ad aprire una scatola scorrendo il coperchio, ad un individuo del gruppo B hanno insegnato ad aprire la stessa scatola alzando il coperchio e ad uno del gruppo C hanno dato la scatola sperando che scoprisse lui stesso come aprirla. Aprendo la scatola ciascuno di loro otteneva il frutto che vi era contenuto. Ciascuno di loro è stato messo insieme con un membro dello stesso gruppo per vedere se quest’ultimo imparava ad aprire la scatola dal compagno esperto e se imparava a farlo con la stessa tecnica. Questo “telefono senza fili” ha funzionato abbastanza bene: la specifica tecnica è stata imparata da un individuo all’altro sino ad una massimo di cinque individui prima che si deteriorasse. E così nel gruppo A gli scimpanzé mostravano la tradizione di scorrere il coperchio, quelli del gruppo B quella di sollevarlo. Infine nel gruppo C, dove ognuno imparava per proprio conto, c’era un mix di tecniche. Questa è una chiara dimostrazione di come possano originarsi differenze culturali fra gruppi.

Secondo Tetsuro Matsuzawa, un noto primatologo giapponese, quando si studia la cultura degli scimpanzé bisogna rendersi conto che le madri mentre sono impegnate nell’attività di apertura delle noci sono molto tolleranti con i propri piccoli, e permettono loro di avvicinarsi, di rubare qualche noce, o qualche pezzo di noce aperta e di mangiarne il contenuto. I piccoli hanno moltissime possibilità di vedere la madre compiere quest’attività e talvolta provano per gioco a rifare parti del suo comportamento e sembrano avere una forte motivazione a farlo, spesso e volentieri non necessariamente con lo scopo di mangiare. Questa è una scuola importante e la relazione fra i due si potrebbe definire di “maestro-apprendista”, con il maestro non impegnato in alcuna forma attiva di insegnamento e l’apprendista motivato a imparare. Questa situazione è decisamente differente da quella tipica della cultura occidentale in cui l’insegnamento attivo gioca un ruolo chiave nell’accelerare i processi di apprendimento e nel permettere l’acquisizione di un numero potenzialmente infinito di comportamenti nuovi. In questo forse siamo davvero unici.

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